Campomarino. Antonella Lozzi mostra una fotografia sul telefonino, fatta poche ore: «Direttore, guarda che colore!». Lui, Francesco De Angelis, originario del beneventano ma da 25 anni responsabile amministrativo della cantina, ammira le sfumature violacee mischiate a striature rubino e ha un sospiro di soddisfazione. Oltre a un legittimo, sacrosanto moto di orgoglio per il lavoro della giovane enologa. «Sono entrata come tecnico di laboratorio un bel po’ di anni fa – ricorda lei – e poi sono passata a un livello, diciamo così, superiore... Questo lavoro è bellissimo».
I complimenti per Antonella si sprecano, tra l’impianto di vinificazione e il sotterraneo delle botti pregiate, dove “invecchia” il Montepulciano riserva. «Molti enologi lavorano al telefono, credono di essere artisti delle miscele e dei tagli a orecchio. Lei invece sta sempre qua, ci passa le giornate, si occupa da vicino di tutto». E ancora: «La nostra Antonella? E’ bravissima».
Per lei, sistematicamente, anche le congratulazioni dei giapponesi. Arrivano almeno due volte all’anno qui a Nuova Cliternia, dove ha sede la cantina vinicola più grande del Molise. Con numeri incredibili: 160mila i quintali di uva che si lavorano, provenienti da 800 ettari di vigneti della zona. In pratica nella Cantina Cliternia si fa oltre il 50 per cento della produzione di vino di tutto il Molise.
Cosa c’entrano i giapponesi? Moltissimo. Il cliente principale di questa realtà, che per investimenti , tecnologia e volumi assomiglia a uno stabilimento della florida Emilia più che al Molise dimenticato, si chiama Saizeriya, ed è una catena giapponese di cucina italiana in stile “family-restaurant”. Conta oltre 1100 ristoranti in tutto il Giappone dove si consumano in media 20mila litri di vino al giorno. E il vino – indovinato – è tutto prodotto e imbottigliato a Cantina Cliternia, che rientra tra le venti cooperative più “lanciate” d’Italia, in una classifica che guarda il livello di crescita e il trend positivo. Il direttore De Angelis sceglie un profilo basso: «Se siamo bravi ce lo dicano gli altri, noi ci limitiamo a fare il possibile».
«Siamo una coop, mica una normale cantina: ecco perché viaggiamo così bene» scherza invece un viticoltore in attesa di arrivare col trattore traboccante di grappoli alla macchina della pesa, dove si misurano con uno dei sofisticati sistemi elettronici acquistati per rendere tutto più efficiente e rapido la temperatura, la tonalità, la maturazione, il genoma, ph e il grado zuccherino.
Nata nel 1972, impegna in pianta stabile 11 dipendenti ed è da sempre costituita da soci, che mettono in comune i raccolti di uva bianca e uva rossa per produrre la bellezza di 115mila ettolitri di vino all’anno, la metà dell’intera regione. Eppure proprio in Molise il vino etichettato in questo stabilimento - che si estende su un’area di oltre 32mila metri quadri, di cui 10mila coperti - è poco conosciuto perché poco commercializzato. Questione di scelte e di mercato. E il mercato privilegiato è quello giapponese, che da venti anni si rivolge a Cantina Cliternia per soddisfare la domanda.
Saizeriya è la più grande catena di ristoranti italiani al mondo, «che offre una qualità medio-alta del cibo a un prezzo relativamente basso per il Giappone» spiega Francesco De Angelis, che trascorre le giornate tra gli uffici, dove il telefono squilla in continuazione, e la verifica costante degli impianti, dalla linea di imbottigliamento che “sforna” in ambiente sterile e controllato sia dal personale che da una tecnologia all’avanguardia ben 2.500 pezzi all’ora fino ai silos, alle botti della riserva, al settore frigorifero e a quello dei vasi vinari termocondizionati con una capacità di 8mila ettolitri.
«Più di questo, per ora, non si può fare – ammette ancora il direttore – perché la capacità produttiva per l’imbottigliamento è al completo, a volte bisogna fare anche i turni per smaltire la richiesta».
Gli occhi scintillano di soddisfazione: la “famiglia” senza un padrone di Cantina Cliternia, pur avendo scelto di privilegiare la logica dei grandi numeri in un contesto fatto esclusivamente di piccoli produttori, non rinuncia alla soddisfazione della qualità, nella consapevolezza che se ognuno lavora al meglio il suo vigneto, «con tutte le problematiche legate al fatto dei terreni e alla difficoltà a ottenere da così tanti produttori una uva il più possibile uniformata per caratteristiche e resa», il benefico finale sarà per tutti.